Se

Di giorno vado a caccia di banditi
Tra tutte quelle facce non ci sei
Sarà che sai nasconderti per bene
Sarà che non hai mai fatto del male

La Luna anche di giorno ha il suo colore
Un'oasi nel cielo più sereno
Sarà che ho la tempesta nelle vene
Sarà che non potrò donarti il mare

Se fossi lì...
Potrei toccare ancora le tue mani,
Sentirmi forse meno trasparente
Sentirmi meno invisibile

Nei sogni che continuo ad occhi aperti
Ti trovo sempre un passo avanti a me
Risento il tuo profumo e i tuoi capelli
Mi sfuggi sempre irraggiungibile

Non spegnere la luce questa notte
Restiamo svegli a farci le domande
Se vuoi tornare sotto le coperte
Se vuoi tornare a mordermi le spalle

Se fossi lì...
In quella stanza accanto alla tua mente
Saprei senz'altro farti ridere
Saprei sfidare le tue regole

Se fossi lì...
A un battito di cuore dal mio petto
Sentirmi quasi invincibile
Sentirmi meno invisibile

Andiamo insieme a caccia di banditi
Cambiamo anche alla Luna il suo colore
Mischiamo la tempesta nelle vene
Restiamo svegli a farci le domande

Non spegnere la luce questa notte...

Non spegnere la luce questa notte...

Se fossi lì...
Nei posti dove sempre ti ho trovato
Sentirmi quasi invincibile
Sentirmi meno invisibile

Hemingway - La valle più bella del mondo

In Italia conobbi la guerra; quella che poi venne definita “Grande”. Un susseguirsi di infinite attese intervallate da attimi di paura e dolore.
In Italia conobbi Agnes; un incredibile miracolo credere che, tra fango e tormento, avrei potuto trovare l’amore di un angelo. I suoi occhi e le sue attenzioni placarono il mio animo turbolento, allontanandomi dalla polvere e dalla voglia di morire per qualcosa.

Non ho mai desiderato radici, pur concedendomi momenti di riposo per il corpo e la mente in luoghi straordinari.
Nel mio continuo girovagare ho conosciuto molte persone, ho stretto molte mani, baciato labbra. Spesso mi sono fermato, ma solo un istante, per poi ripartire.
Dopo la Grande Guerra, vidi molti altri scontri, non solo nelle trincee.
Fu con Mary che, dopo la fine di un’altra guerra, tornai in Italia; quasi a voler chiudere un ciclo iniziato anni prima. Volevo ritrovare la pace.

Qui imparai il valore di un maiale e di un sacco di grano. Imparai ad attendere senza motivo di rivalsa sul tempo trascorso; impensabile per uno come me.
Vidi volti segnati dal tempo, dalla polvere dei campi, dal gelo invernale, dalla guerra, ancora capaci di ridere e amare; occhi limpidi e profondi come un fiume che si insinua nell’anima, scavando sempre la stessa valle, a memoria, filo d’erba dopo filo d’erba, sasso per sasso.
Mi ritrovai nei luoghi in cui soldati tedeschi e partigiani si contendevano le più aspre vette o il ponte sul fiume costruito da chissà quale diavolo.
Dove più di duemila anni fa, i soldati di Annibale trovarono ristoro e, sulla via del ritorno, scelsero un nuovo futuro, lontano da casa, ma, come spesso accade per i colonizzatori, richiamando le loro origini, utilizzando nomi a loro familiari.
Trovai acque docili in cui pescare, tra curve che disegnano forme di animali e boschi infiniti che si muovono sinuosi e inesorabili a conquistare vecchi pascoli.

Fu in una tiepida sera che decidemmo di soggiornare presso l’unica osteria di un piccolo paesino chiamato Campi; un singolare borghetto formato da piccole corti.
Forse per la stanchezza accumulata nel viaggio, presi una sbornia prima del previsto e mi trascinai faticosamente lungo le scale fino al letto. Non ricordo molto altro, mentre il vociare della stanza inferiore si allontanava in un’eco confusa e il mio respiro si trasformava in un profondo russare.
Mi risvegliai che era ancora buio, stranamente lucido. Ecco cosa ricordo: in questi luoghi si dorme come bambini, privi di pensieri, per poi risvegliarsi completamente rinvigoriti in poco tempo.
Mary era accanto a me, dormiva profondamente.
Mi alzai e scesi le scale, attratto da un forte profumo di caffè. Entrai nella stanza principale, dove trovai un giovane ragazzo che correva verso la piccola caffettiera che stava gorgogliando sulla stufa.
Mi salutò con un breve gesto della mano e, in silenzio, mi indicò la caffettiera, in attesa di un mio cenno. Bevemmo il caffè insieme; sapeva di bruciato, ma servì a levarmi dalla bocca il gusto della sera prima.
Si chiamava Italo, era il figlio dell’oste; un giovane alto e smilzo, con le mani secche e callose come la pelle di struzzo conciata. Era di poche parole, ma estremamente gentile. Quel mattino si era alzato molto presto per andare sulla cima dell’Alfeo, il monte che sovrasta il paese fino a mille metri più in alto.
Avevo voglia di muovermi, così gli chiesi di poterlo seguire e, ovviamente, accettò. Corsi nella mia stanza e mi misi a frugare tra le cose di Mary. Trovai ciò che stavo cercando: la sua Argus C3. Lasciai un biglietto sopra la borsa, spiegando che avrei fatto un giro e sarei tornato presto.

La notte stava per finire, ma era ancora molto buio e la strada bianca delineava i suoi confini a fatica.
Il passo di Italo era svelto e, nelle prime salite, il mio fegato iniziò a farsi sentire sotto le costole, ricordandomi i miei vizi e imponendomi maggiore calma nello sforzo. Sentivo i polmoni stringersi in spasmi sempre più stretti; in quel momento odiai i troppi sigari fumati, sapendo che comunque, ben presto, mi sarei scordato nuovamente di certe controindicazioni del fumo.
Italo si accorse del mio affanno e moderò notevolmente il suo passo, senza farmi sentire troppo vecchio e lento.
La strada mutava continuamente, da salite impervie e ghiaiose a sentieri polverosi larghi per un solo uomo, fino ad aprirsi molte volte in campi ben delineati, dove il fieno era alto, per poi richiudersi in boschi di querce e noccioli selvatici.
Arrivammo in un prato, dove Italo si fermò per bere, porgendomi una borraccia d’acqua che io, ovviamente, avevo omesso di portare. Borbottai mortificato prima di bere, mentre lui chinò la testa e alzò le spalle in segno di cortesia. Ci guardammo intorno, le stelle in cielo iniziavano a sparire e il nero profondo del cielo si schiariva in un blu tenue; a est, la linea dei monti bordava l’orizzonte di rosa.
Senza parlare, Italo mi prese per un polso e mi tirò verso la selva poco più avanti, come a volermi portare in un posto segreto, al più presto, dove sarebbe accaduto qualcosa di lì a poco.

Tornammo nel buio, tra gli alberi. Sbattei le palpebre, strizzandole forte, cercando di abituare in fretta gli occhi alle nuove tenebre.
Ci fermammo in silenzio; Italo si sedette su una grossa pietra ricoperta di muschio, guardando le fitte chiome degli alberi, in silenzio, in attesa di trovare qualcosa. Fu in quella selva che vedemmo l’alba, ai piedi dell’ultima dorsale del Monte Alfeo.
Nel buio, tra gli alberi, si stagliavano lame di fuoco arancio che riscaldavano i tronchi umidi di quercia su cui si posavano. Era questo lo spettacolo imminente che cercava Italo. Restammo immobili, a bocca aperta. Ero ancora affannato, ma credo di aver trattenuto il fiato per qualche istante, rapito da quel momento.
Tra quelle luci incontrai gli occhi di un giovane capriolo, fermo, in attesa o forse anche lui ammaliato da quell’incredibile spettacolo. Ho fissato nella memoria quel momento; quell’istante in cui nessuno era preda o predatore, non si poteva pensare al pericolo; un unico momento privo di rumori, un’attesa immobile e piacevole.
Nello zaino avevo l’Argus C3 di Mary pronta all’uso; l’avevo portata proprio per fotografare qualcosa di straordinario, ma nulla mi distolse da quell’immagine; nulla mi fece pensare di immortalare quel momento. Quel quadro senza una cornice ben definita rimase mio, solo mio, per sempre.
Non so quanto tempo passò; secondi o minuti, poco importa. Il movimento di quelle luci sembrò accelerare, ampliando i suoi raggi e la loro intensità. La luce prese il sopravvento sulle tenebre.
Tra i primi cinguettii di uccelli, il capriolo si ridestò da quella pacifica pausa, scrollò la testa e sparì tra gli alberi in un lampo.

Anche Italo si destò, alzandosi in piedi, di nuovo pronto a proseguire verso la vetta.
Guardai la cima del monte appena fuori dalla selva, ancora molto in alto. Ero ancora euforico, ma definitivamente esausto. Lasciai proseguire Italo, preferendo un’onesta resa e mi incamminai sulla via del ritorno. Non potevo chiedere di più da quel giorno.

Scesi con calma lungo il percorso appena fatto. Arrivato all’osteria, trovai Mary, seduta su una panca a sorseggiare un caffè e fumare. Non dissi niente, mi avvicinai e la baciai sulla fronte, mi sedetti al suo fianco e le rubai qualche boccata di sigaretta. Respirai profondamente, cercando la conferma di non aver sognato.

Qui trovai ciò che trovarono i soldati di Annibale e tutti coloro che scappano da qualcosa. Trovai ciò che stavo cercando, trovai la pace.

Questa è ed è sempre stata la valle più bella del mondo.

Tutto l'amore che c'è

Quando il sangue è ancora acerbo
Tra le anime e la carne
Tra il tuo corpo e la tua mente
Cerchi un ruolo alla tua parte
Pronto a fare un altro passo
Verso un altro precipizio
Consapevole del rischio
Petto in fuori e sguardo in alto

Credi di raggiungere a piedi cieli sereni e intanto
Speri negli sguardi sinceri e i baci veri mentre
Vedi sempre più volentieri tutti i difetti che
Credevi già abbastanza crudeli e invece hai sempre lì...

A un passo da tutto il meglio di te
Non ti sei accorto neanche
Che per avere paura ci vuole coraggio
Ed è semplice
Giocare a scacchi con Venere
Quando sai già le sue mosse
Che importa come si vince o si perde
Con tutto l'amore che c'è

Con le tue fragilità
Tra problemi e soluzioni
La tua pelle è una corazza
Ti protegge dai veleni
Hai lo sguardo di chi nasce
Con la forza devastante
Di chi guerra può chiamare
Ma che pace vuole avere

Prendi mani che poi trattieni solo un istante ma poi
Levi tutti i brutti pensieri da ogni mente e dopo
Chiedi quali sono i problemi che forse forse non
Volevi ritrovarti tra i piedi e invece hai sempre lì...

Tra novità ed abitudine
Usando tutte le carte
Che poco importa finirle per primo
Se sai come perdere
Se pena è fare l'amore
Se non sarà mai dolore
Che importa come si vince o si perde
Con tutto l'amore che c'è

A un passo da tutto il meglio di te
Non ti sei accorto neanche
Che per avere paura ci vuole coraggio
Ed è semplice
Giocare a scacchi con Venere
Quando sai già le sue mosse
Che importa come si vince o si perde
Con tutto l'amore che c'è

Ciò che sei qui

È un cercarsi a tutti i costi
Anche solo per baciarsi
Anche adesso che ripenso
A quest'idea
Non c'è tempo per capirsi
E nemmeno per spogliarsi
Quel che basta è tutto e poi
Sarà poesia

Come un piccolo demone
Ben nascosto in piena luce
Con lo sguardo da serpente
E ali senza piume
Che se poi devi andare
Se non puoi rimanere
Tra coperte ormai fredde
Non so più cosa fare

Ciò che sei qui
Non dipende da ieri
Da tutte quelle scelte
Che hai già fatto e non so
Dai più piccoli errori
Da che cosa credevi
Tutti i vecchi messaggi
Che hai lasciato sui muri

Avrei voluto scriverti e
Avrei voluto viverti e
Avrei voluto averti
Un po' di più
Ma adesso andiamo al limite
Adesso sei possibile
Un secondo, dammi il tempo
Guida tu

Nel disegno che ho in mente
Il profilo si confonde
Mi rivela la tua anima
E un'idea
Che se poi devi andare
Se non puoi rimanere
La cornice perfetta
Non so come riempire

Ciò che sei qui
Non dipende da ieri
Da tutte quelle scelte
Che hai già fatto e non so
Dai più piccoli errori
Da che cosa credevi
Tutti i vecchi messaggi
Che hai lasciato sui muri

Utopia

Aveva gli occhi belli, Francine, verdi come la giada. Impossibile scordarli, sono sempre lì, appena chiudo le palpebre, in quel buio, prima di ogni altro pensiero.
Li vidi molto tempo fa, per l'ultima volta, tra decine di altri volti vuoti.
Erano lì, puntati su di me, sulla mia camicia logora, sul mio viso sporco, sul cappio che mi avvolgeva il collo.
Tra le urla della folla, esaltata dal boia e dal re soddisfatto al balcone, riconobbi il suo silenzio.
Chiusi gli occhi con tutte le mie forze, infastidito dal vociare; qualche istante ancora e poi un assurdo silenzio, come un respiro sospeso.
Nel buio sentii solo un ultimo rumore, il leggero scricchiolio del legno sotto i miei piedi.
Il pavimento si aprì. Ancora buio. Non ricordo dolore.
Mi ritrovai cosciente, ad aprire di nuovo gli occhi in una luce soffice; avevo le mani libere adesso e, istintivamente, mi guardai i palmi perfettamente lindi. Portai subito le mani al petto, cercando la carne, per poi portarle al collo e sentirlo libero dal cappio.
Spingendo le dita sulla gola, sentii il mio battito. Ero vivo!
<Non ti preoccupare, mio caro>. Questo fu il primo suono che ricordo. Le parole pronunciate da una voce tiepida e serena. Era la voce della prima figura che mi si presentò di fronte.
Ero disorientato, incredulo; iniziai a fare domande, non capendo cosa fosse successo, dove mi trovavo, perché e chi fosse quella figura.
La risposta fu calma e sincera. Scoprii che qui, ovunque si trovi questo posto, non esiste nome, né motivo. Tutto è soggetto e verbo, tutto fa parte di un insieme indefinito, senza confine, senza alcun parametro o dottrina.
Qui sono presenti infinite figure: diverse, simili o perfettamente uguali. Poco importa; tutto fa parte dell'insieme, ma allo stesso tempo è distinto e interagisce a suo modo, senza nome, senza la necessità di parlare.
Credevo di conoscere ogni modo per comunicare, esprimersi ed interagire. Lo credevo prima di tutto questo.
Da un'altra parte, probabilmente, ci sarà un simbolo su di me, a darmi un nome e una dimensione. Una data d'inizio e una di fine.
Lontano da qui ho lasciato quegli occhi verdi. Incredibili occhi verdi come la giada.
Lontano da qui ho lasciato il giudizio, la paura e il mio cappio.
Non c'è nome su di me in questo luogo, non c'è dito puntato, non c'è corda che leghi.
Ricordo il disagio provato appena arrivai qui; la necessità di descrivere qualcosa, ad ogni costo; il bisogno di dare un nome; l'ossessione di giudicare il bello, il giusto, il buono e i loro opposti.
Forse un tempo avrei avuto la follia di immaginare questo posto e definirlo in qualche modo.
Forse l'avrei chiamato utopia!

Malisangu

Malisangu arriva quando meno te l'aspetti,
Ma quando ne hai più bisogno.
Quando perdi tutto. L'anima... la fede...
E rimani lì, in bilico. Con uno strato di vuoto e un quintale di parole e suoni pronti ad esplodere.

Malisangu è dissenso.
È la divergenza, il contrasto tra le cose che provi e come riesci ad esprimerle.
È dolore, dolcezza... malinconia e passione...
È una pausa rumorosa nel caotico silenzio che ti avvolge ogni giorno.
Un silenzio fatto di persone, tempo e responsabilità che, in qualche modo, ti cadono addosso.

Malisangu è un posto; un posto in cui tutto è chiaro, per il tempo che basta.
Sono dita che vibrano su un foglio candido.
Sono dita candide su corde che vibrano.
È il sorriso che ti inarca le labbra mentre rileggi un testo.
È la pelle d'oca mentre ascolti l'eco di un violino.
È la prima volta che ascolti una canzone che attrae la tua attenzione.
È la seconda volta che l'ascolti ed è perdutamente tua...

Malisangu: il "male sangue" che ti brucia nelle vene. Come un dolore, come una paura, come la vita, una passione innata, una follia, la voglia di alzare il volume...
È la resilienza. La reazione istintiva alle situazioni.
Qualcosa che ti porta su un palco...
La fiducia in noi stessi, la speranza negli altri, ma senza alcuna illusione.

C'è chi non sa morire e nella pioggia balla.
Questo è il momento.
Questo è Malisangu.

1. La paura - Quella sensazione che ti cambia

Parte tutto da qui, da come ci sei arrivato, dalle tue esperienze, da chi sei, da com'eri.
È come aver sbrogliato il primo nodo di un immenso groviglio in cui eri avvolto. Ora tutto è più chiaro, ne sei consapevole.
Il passo che prima era incerto, adesso è sicuro, deciso, verso una direzione ancora ignota, ma, senza dubbio, da quella parte.
Aspettavi uno schiaffo, stringendo gli occhi e i pugni, trattenendo il fiato, in attesa del dolore. Un infinito momento sospeso.
E poi il silenzio, interrotto a tratti, solo dai palpiti del cuore.
Arriva la necessità, il bisogno di ossigeno che ti sei obbligato a provare.
Ora il silenzio si allontana, sovrastato dal tuo pensiero. Un sussurro che diventa grido, sott'acqua, senza fiato.
Ancora paura.
"Cosa devo fare? Voglio respirare!"
Provi a sbirciare. Allenti la presa e cerchi la luce tra le palpebre.
Sembra sicuro.
Spalanchi la bocca e riversi tutta l'aria che puoi nei polmoni in fiamme.
Un'immagine spaventata ti guarda da uno specchio. Sei tu, che finalmente respiri, guardi, vivi!
Un sorriso smorfioso t'invade la faccia.
Di cosa avevi paura? Perché?
Non è successo niente, no?
O forse sì... È proprio successo tutto! In un attimo.
Trattieni ancora il fiato, ma solo per poco.
Espiri soddisfatto, non hai nulla da temere.
Parte tutto da qui.

2. Il disagio - Quella sensazione che ti cambia

È bello ridere. Con gli amici, con te stesso. Senza motivo, senza un senso.
Ma tante volte non lo cerchi neanche quel motivo.
Tante volte vaghi, chiedendoti perché sei qui e se ci stai bene. E intanto ridi...
O almeno ci provi!
Provi a confondere e confonderti. Con gli amici, con te stesso. Senza motivo, senza un senso.
Ti convinci che va bene. Fingi di non sentire quell'istinto che ti piega le guance, schifato, inorridito, a disagio, immobile.
Non sai se ti ci sei trovato o se hai scelto di esserci. In questo stato, in questa situazione.
Sei nato così?
Forse potevi essere migliore, diverso, un altro...
Ragioni. E lo fai mentre ridi e ridi ancora.
Mentre il mondo ti passa davanti e tu lo guardi in un televisore, a basso volume, senza cambiare canale.
Ti scrolli dal torpore, levando l'ovatta dalle orecchie, entrando oltre quel vetro che ti isolava.
Ti alzi in piedi, un colpo di tosse, schiarisci la voce.
Silenzio.
I tuoi amici non ridono, il mondo adesso guarda te. Sei collegato, in diretta. È la tua occasione!
Inizi a parlare. Parli di cose che finora erano tue, solo tue.
I tuoi amici non ridono, i loro occhi restano attenti alle tue labbra.
Ti sciogli, senti il disagio svanire. I tuoi amici si guardano fra loro, stupefatti, euforici.
Un inchino.
Un grande applauso.
È bello ridere con gli amici

3. La passione - Quella sensazione che ti cambia

Quand'è l'ultima volta che l'hai vista?
Da chissà quanto non la sentivi!
Annoiato. Da tutto e tutti. Dalla routine, i falsi compromessi, l'abitudine, le cose scontate e prevedibili.
Poteva essere un giorno come un altro. Tu e lei. Soli o in compagnia, poco importa!
Una birra. Facciamo due, ma poi, tanto, chi le conta più?!
Rumori di bicchieri, qualcuno brinda... Si chiacchiera. Poi un colpo.
Le casse fischiano leggermente, il volume forse è troppo alto.
Un sospiro nel microfono. I bicchieri sono tutti fermi, in pugno; senti una goccia di condensa scorrerti sulle dita.
Silenzio.
Inizia!
Ti sorprende come mai aveva fatto prima, il suono ti vibra in faccia come un vento caldo che ti accoglie dentro al suo brivido. Risuona nelle costole.
Avevi scordato quella sensazione. Ti piace, ti rapisce, è passione.
L'orizzonte si apre, come un panorama che tu vedevi, ma senza mettere a fuoco.
Finisce la musica, ma non dentro di te.
Ormai ne sei pieno, ormai non ne puoi più fare a meno. Come una droga, una dipendenza dolce e incomprensibile.
Ti guardi intorno; vedi ancora sguardi annoiati. Bevi e torni a casa, con una fiamma ancora accesa dentro. Un ricordo di quella sensazione, così primordiale. Ti addormenti a fatica, eccitato e impaziente.
Al risveglio qualcosa è cambiato, il vento caldo non è sparito, ne sei dipendente ed esci in cerca della tua dose chiedendoti:
"Quand'è l'ultima volta che l'ho vista?"

4. Una nuova vita - Quella sensazione che ti cambia

Avevo paura finché non ti ho visto tra le mie mani.
Ne ho ancora adesso, ma è una sensazione diversa.
Il punto di unione tra due metà.
L'ultima pietra, la più importante. La chiave di volta, che tiene insieme tutto, senza bisogno d'altro.
Un motivo per piangere come un bambino, mentre mi stringi il dito o ridi con me.
Un nuovo significato nell'amare qualcuno.
Perdere il conto di chi si è alzato l'ultima volta.
Il miracolo tra fede e scienza.
La certezza che nel coro di milioni di angeli riconoscerei la tua voce.
La sensazione di sentirti respirare, sentire quando stai male.
Prima di te immaginavo questa sensazione.
Mi chiedevo come sarebbe stata, ma forse mai, mai e poi mai, avrei pensato che sarebbe stata così.
Prima invecchiavo... Adesso cresco!
Con ciò che mi insegni e ciò che ti vedo imparare nel tuo continuo esplorare.
Emozionandoti davanti ad un gioco, una nuova scoperta.
Scappare con te, dai mostri che inventi e non ci sono.
Essere orgoglioso delle tue sbucciature. Le mie mani tra i capelli per la tua bici senza rotelle.
Baciarti la fronte mentre fingi di dormire.
Farti perdere mentre ti osservo in un labirinto di specchi che conosco bene.
Avevo paura finché non ti ho visto tra le mie mani.

5. La malinconia - Quella sensazione che ti cambia

Ogni estate è così. Il Sole, le giornate infinite, la possibilità di oziare, di perdere tempo.
Ti sembra di poter fare tutto!
Ma è anche profumo. Di asfalto bagnato, di erba tagliata, di mare...
C'è la musica, la radio con il suo "tormentone" che, inconsapevolmente, legherai a un ricordo.
Un bacio, la prima volta che hai fatto l'amore, una serata storta, un tradimento, un viaggio.
Pensare agli anni passati fa provare nostalgia, ma quello di cui parlo è un'altra cosa.
La malinconia in cui si cade, sistematicamente, ogni volta. Ogni volta che finisce un'estate o qualsiasi periodo di spensieratezza.
Quando torni a scuola, al lavoro, alla vita di tutti i giorni e, in qualche modo, ti accorgi di aver preso una facciata contro il solito muro.
Tutto si comprime. Il tempo, il tuo modo di entusiasmarti, la tua voglia di ridere.
Il Sole passa più basso e allunga le ombre fino a farle perdere in un buio comune a tutti.
Cos'è quella sensazione allo stomaco? Quella sensazione di vuoto, che però pesa come piombo. E ti tiene con i piedi per terra, ti affatica fino a stancarti e farti assopire.
La malinconia è prepotente. Ma onesta.
Prende chiunque, senza distinzioni.
Inizia come una piccola crepa, una piccola sbeccatura. Ti prende lentamente, ma è inesorabile.
E anche se l'aspetti, ogni volta vuoi credere che non accadrà.
Arriva, ne puoi star certo!

6. L'amore - Quella sensazione che ti cambia

Non è certo la cosa più semplice da descrivere.
Può essere un sentimento, un motivo, una forza, un'emozione...
Di qualsiasi cosa si stia parlando, c'è. In ogni discorso, in ogni situazione.
C'è nelle cose belle e anche in quelle brutte. Anzi, forse è proprio nei momenti più brutti e difficili che si nota.
È facile trovarlo nei baci, in un abbraccio, in una cosa fatta per bene.
Ma tante volte lo trovi nelle lacrime, nei silenzi, nel sacrificio.
L'amore non è facile.
Ti danni a cercarlo. A volte non lo chiedi neanche, vorresti semplicemente poterlo esprimere.
E quando lo vedi, lo trovi o lo provi, è bellissimo.
È quella sensazione che ti lascia con la bocca spalancata, senza sbattere le palpebre.
Una forza antica, nata prima di ogni odio. Perché prima di odiare qualcuno o qualcosa, devi averlo amato.
L'amore riempie ogni spazio. Come l'acqua in qualsiasi contenitore si trovi.
E quando ti ci immergi, ti senti a tuo agio. Come in un bagno caldo, da cui non vorresti più uscire.
Rimani lì. Avvolto in quella sensazione. A goderti quel tepore, sentendoti, allo stesso tempo, libero di muoverti al suo interno.
Non hai motivo di uscirne.
Siamo tutti dentro a un nostro spazio, siamo tutti liberi di riempirlo come vogliamo o, semplicemente, lasciarlo vuoto.
Ma, prima o poi... L'amore riempie ogni spazio.

7. La rabbia - Quella sensazione che ti cambia

Sono tante piccole gocce.
Tante piccole gocce che formano una pozzanghera, uno stagno, un lago, un mare...
E poi un oceano... Sì, se vuoi, può essere anche un oceano.
La pazienza, la sua dimensione, può avere ogni dimensione ed ogni goccia ha il suo peso.
Fino a un secondo prima, era tutto tranquillo, un sottile limite, teso, liscio. Colmo, a lambire i bordi.
In quel momento tutto può cambiare.
Passare da quiete a tempesta, da normalità a rabbia.
Nessuna goccia sa se sarà la prima o l'ultima, ma ognuna è consapevole di far parte di un'onda.
Ognuna è consapevole di poter distruggere o perdonare, come una dolce carezza ai piedi, nella battigia.
Quando arriva impetuosa ti cambia. Tramuta il senso, la razionalità, in cieca voglia di gridare, di stringere, spazzare... Un'antica voglia di libertà!
E quando finisce, quando si esaurisce, quando sfoga il suo desiderio di rompere gli argini, torna la quiete.
Resta il presente, un'ambiente mutato e il ricordo di ciò che è accaduto e ciò che potrebbe accadere.
Alcune gocce restano, memori di quella feroce ondata.
Forse proverai a ricostruire gli argini, ad alzarli, rinforzarli.
Forse imparerai a scaricare per tempo. Prima di una prossima piena.
Forse attenderai impaziente un'altra onda.
Sono tante piccole gocce.

8. La saggezza - Quella sensazione che ti cambia

Il tempo ha un'anima.
È un enorme essere formato da attimi.
È sempre più grande, perché ha un inizio, forse, ma mai una fine.
Funziona sempre. Non ha bisogno di essere alimentato.
Non ha bisogno di testimoni che ne capiscano e controllino il funzionamento.
Lui va! Non lo puoi controllare. Non puoi fermarlo, tornare indietro, ripetere, andare avanti veloce...
Però, aspetta! Puoi usarlo!
Sembra strano come una cosa così grande, inesorabile, incontrollabile si conceda, facendosi sfruttare.
E quanti non lo fanno!? Quanti se lo fanno scorrere addosso?
Lasciandolo sfuggire, così, tra le dita, come una manciata di sabbia.
Eppure, più passa, più ti segna.
A volte ti scuote, con quella sensazione di déjà vu. Una cosa che ti spiazza, lasciandoti disorientato, quasi a disagio.
Più passa, più ti insegna.
Il tempo ti regala anche questo: la saggezza.
Ti dà la capacità di fermarti, ragionare o, viceversa, di agire subito per esperienza.
È una sensazione che ti cambia per forza. Sai cosa ti può bruciare, sai dove puoi andare sicuro.
Il tempo ti regala tutto questo.
Il tempo ha un'anima.

9. La seconda chance - Quella sensazione che ti cambia

Hai fallito!
Magari non te l'ha mai detto nessuno, ma sicuramente l'hai pensato. Spesso...
Potevi cambiare le cose, per te, per qualcun altro.
Qualcuno che contava su di te.
Quanto pesava quella responsabilità? Forse poco, non le davi molta importanza.
Ma quando fallisci, la senti. Ti cade addosso e ti schiaccia.
E tu cerchi di fartene una ragione, magari trovi una giustificazione. Ma non basta.
A te non può bastare!
Vorresti tamponare, cercare di risolvere in qualche modo. È tardi. Arrenditi.
Ti vai a nascondere, fingi che non sia successo, fingi disinteresse.
Brucia. Fa male. E vorresti una seconda possibilità, ma allo stesso tempo la temi.
E se fallissi di nuovo?
Potrebbe presentarsi una nuova occasione. Potresti fingere di non vederla, non coglierla.
Ma quando arriva e la vedi... Sei di fronte a un bivio. Con la sensazione del fallimento e della rivalsa insieme.
Hai una seconda chance. Puoi rifarti. Puoi cancellare il fallimento. Puoi dimostrare la tua forza.
Che strana sensazione! Prendere o lasciare.
Ma se prendi, eh… questa volta darai tutto!
Quindi, scusate, adesso è l'ora di andare.
Andare a prendere una seconda chance.

10. L'euforia - Quella sensazione che ti cambia

"Sensazione accentuata di benessere con tendenza all'ottimismo e all'ilarità, talvolta artificialmente prodotta dall'uso di droghe o di eccitanti, o anche derivante da malattie nervose."
Nervoso? Ma no! È solo euforia!
Quella sensazione che ti fa ridere a crepapelle, da non riuscire più a smettere.
Da farti lacrimare gli occhi, quasi soffocato.
Senza nessun motivo.
Arriva in un lampo e può finire altrettanto velocemente.
Però che bella sensazione!
Ti cambia la giornata.

Caro amico mio

Caro amico mio,
Ci si trova alla tua età, a guardare da una panchina un immenso campo bianco su cui scrivere la tua storia.
Non è più quel bel momento in cui si corre spensierati, senza avere l'esperienza del pericolo di cadere.
Non è ancora quel momento in cui si corre per fuggire, senza chiedersi se forse sia più semplice la resa.
Ci si trova in bilico, tra passato e futuro, tra le scelte che hai di fronte e la paura di prenderne una, tra la paura di perdere un'occasione e quella di sprecarla.
A valutare ogni secondo del tuo tempo, cercando di capire come sia meglio spenderlo, come vorresti spenderlo e come non vorresti perderlo.
La consapevolezza di questo momento ci rende inermi, le nostre esperienze ci impongono di ponderare con cura ogni passo; la spinta per compierlo, la sua durata e direzione, la nostra prontezza nel poggiare nuovamente il piede a terra, pronti per un altro movimento.
Il pericolo di cadere e farci male ci congela, facendoci rifugiare nel passato, costringendoci a desiderare l'ambiente in cui siamo, senza pericoli, senza necessità di muoversi.
Caro amico mio, è normale aver paura.
Ricercare un compromesso con noi stessi è necessario.
Non possiamo fare tutto, ma neanche fare niente. Non possiamo valutare quanto tempo ci rimane, non possiamo capire quanta strada vogliamo percorrere.
Caro amico mio, ogni vita ha i suoi obiettivi. Alcuni si trasformano in passioni, altri in ossessioni. Non è facile seguire ogni strada e, allo stesso tempo, non è semplice abbandonarne anche solo una.
Non è facile fidarsi del destino e sentirsi forti e sicuri in ogni situazione. Non è semplice seguire una corrente, verso un obiettivo, senza averne il totale controllo.
Qualcosa potrebbe andare storto, potrebbe cambiare e cambiarti, ma, caro amico mio, è sempre una nostra decisione. Una scelta in risposta ad un evento che può terrorizzarci, distruggerci o renderci invincibili.
Non siamo sempre soli, ma nemmeno succubi di altri e dei rapporti che instauriamo.
Se cadiamo, a volte, cadiamo insieme e, allo stesso modo, ci rialziamo insieme. Con meno sforzo, con meno paura. Con spalle larghe, mani sicure e cuori impavidi.
Ci sforziamo di sentirci liberi, ma la stessa paura di non esserlo, ci lega e ci tiene in catene.
Caro amico mio, non aver paura di perderti. Non temere la schiavitù o il remissivo compromesso.
Non temere di diventare ciò che il mondo ti semplifica sotto stereotipi.
Trova in te la parte migliore e ruba agli altri ciò che ti manca, senza alcun ritegno.
Caro amico mio, vivi il presente e il futuro, vivi il tuo tempo, vivi.

Il tempo che non ho

Più forte di un magnete dall'illogico potere
Lo sguardo resta teso, irresistibile, sospeso
Ti bramo come sete brama voglia di nutrire
La gola nell'arsura del deserto più disteso
Non ho capacità contro quel magico guardare
Rimango disarmato in faccia a labbra seducenti
Attendo ad ogni incontro l'attenzione che sai dare
Al timido cercare tutti i tuoi collegamenti

Tanto i giorni passano
Prima o poi ti avrò
Gli orologi segnano
Il tempo che non ho
Il tempo che non ho
Il tempo che non ho

E se mi stai guardando
E non so dirti niente
Non so se stai giocando
O se mi vedi veramente

Lo sai che ti conosco
E che prima o poi ti avrò
Gli orologi segnano
Il tempo che non ho
Il tempo che non ho
Il tempo che non ho

Sei demone e anche musa, senza troppa distinzione
Traduci ogni peccato in passione travolgente
Sai dire senza voce, sei la regola e eccezione
Mi lasci nell'attesa di riavere la tua mente
L'età non è motivo tanto grande da temere
Tra tutti i tuoi pensieri, qualche cosa sta nascendo
Se poi, quando ti guardo, senti di volermi avere
Non trovo errore o sbaglio in ciò che ora stai provando

Le ore ci dividono
I pensieri, quelli no
Gli orologi segnano
Il tempo che non ho
Il tempo che non ho
Il tempo che non ho

E le parole sfumano
Spero le ricorderai
Per il resto del tuo tempo
Finalmente lo vivrai

Le persone ci deludono
Ma i pensieri, quelli no
Gli orologi segnano
Il tempo che non ho
Il tempo che non ho
Il tempo che non ho

Dove finisce il mare

Massaggiami l'anima
Partendo da adesso
Le tue mani morbide sulle mie remore
E dita sicure su ogni bottone
Travolgimi tiepida
Coi polsi scoperti
Né caldo né freddo, sentire quel brivido
Uscire dal corpo e sparire lontano

Portami lì
Dove finisce il mare
Quando incombe la notte
Quando nuvole e stelle riflettono sopra
Una tavola nera lontana da qui

Stupiscimi illogica
Senza alcun tornaconto
Senza più ragionare su come e su quando
Trovare il motivo per cui stai ridendo
Proteggimi indomita
Con le tue debolezze
Costruisci uno scudo da tutti gli errori
Rispondi agli schiaffi donando carezze

Portami lì
Dove finisce il mare
Quando il Sole sorge
Forse dopo il tramonto di un giorno passato
In qualche altro posto lontano da qui

Ritrovami impavida
Anche dopo la sera
Quando tutte le ombre spariscono al buio
Saprai ritrovarmi nell'angolo solo
Sorreggimi avida
Di succhiarmi la vita
Mentre perdo ogni senso, disfatto dal mondo
Approfitta di me senza usare ritegno

Portami lì
Dove finisce il mare
Quando è tutto tempesta
Mentre le onde si infrangono sulle tue sponde
E sei con la mente lontana da qui

E riportami lì
Dove finisce il mare
Quando le tue paure
Si confondono dentro un vecchissimo specchio
Mostrandoti un volto lontano da qui

Notturno

È nella notte che mi sento meno solo.
Quando il mondo non mi passa davanti, indifferente, in mancanza di bisogno.
Quando so di non poter cercare qualcuno, perché tutti stanno dormendo.
È nella notte che mi sento più vero.
Quando ogni respiro è ispirazione e il suo suono mi rimbomba nella testa.
Quando sbatto le palpebre sul cuscino e non trovo differenza di luce.
È nel giorno che mi arrendo davvero.
Quando credo che tra tutti i pensieri, nessuno, per me, sia il primo.
Quando cerco chiunque e non trovo nessuno, mentre ognuno conta su me.

Per restare nel tempo
Bevo litri di realtà
Allungata con ghiaccio un po' amaro
Mescolata con la verità

Voglio anch'io il mio diritto
Di non leggere il momento
Non capire che significa
Ogni mio comportamento

Urlare senza senso
Per essere ascoltato
Da chi senza quel senso
Ormai si è abituato

Sentirmi così libero
Da piombi e da catene
Che vedo solo in bilico
Da ciò che mi trattiene

Col rumore dei miei passi
Regolare i miei silenzi
Qualche volta il culo a terra
Qualche volta oltre una porta

Presentare la mia parte peggiore
Senza dare la colpa alla lingua
Che come una lama
Sa fare il suo mestiere

Briciole

Briciole
Le raccogli piano piano
Piccole
Sopra il palmo della mano
Sono piccole
Ti riportano lontano

Le hai lasciate dietro te, per ricordare la tua origine
Per saper tornare indietro o per farti ritrovare
Da qualcuno che ti segue, da chi non ti vuol raggiungere
Da chi ti credeva debole, ma ti lasciava fare

Coperta dalla cenere hai rischiato di morire
E io ancora che mi chiedo come non lo puoi capire
Il miracolo che vedo mentre guardo la tua immagine
Brividi, brividi, il calore di una luce

Contale
Su di te potrai contare
Guardale
Un universo da scoprire
Mischiale
Nel disordine mentale

Le hai buttate tutte intorno per sentirti più dispersa
Quant’è pallido il tuo trucco nella notte dell’amore
Mani fredde e labbra bianche ti consumano la forza
Vuoi sentire con le dita quello che non sai provare

Sbatti fuori la vergogna di ciò che vuoi far vedere
Provi a urlare sottovoce il tuo fragile colore
Non hai tempo da sprecare con chi non ti riconosce
Sbrigati, sbrigati, il calore di una luce

Briciole
Le raccogli piano piano
Piccole
Sopra il palmo della mano
Sono piccole
Ti riportano lontano

Contale
Su di te potrai contare
Guardale
Un universo da scoprire
Mischiale
Nel disordine mentale

Ora dimmi cosa credi che si provi ad aver perso
L’abitudine di averti sempre qui vicino a me
Le farfalle e tutti i rospi che allo stomaco hanno posto
Non riempiono quel vuoto che coincide proprio a te

Tra tutti quegli ipocriti che dietro un naso rosso
Nascondo la faccia più schifosa che ci sia
Non chiedere di credere che niente sia successo, siamo
Fragili, fragili, il calore di una luce

Briciole
Le raccogli piano piano
Piccole
Sopra il palmo della mano
Sono piccole
Ti riportano lontano

Lo so bene che è difficile capire se fa male
Ogni volta che ci provi sembra tutto andare bene
Tutti i segni, tutto il trucco che hai cercato di coprire
Non avranno mai la meglio sulla parte che vuoi avere

Basta fumo, basta inganni, basta poca convinzione
Il peccato del momento non è moda né piacere
Sulle braccia qualche segno e tatuaggi a ricordare, siamo
Liberi, liberi, il calore della luce

Briciole
Le raccogli piano piano
Piccole
Sopra il palmo della mano
Sono piccole
Ti riportano lontano

Le segui nel percorso verso te

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